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Papa Leone XIV cugino del generale Sucre: una genealogia che sovverte il potere

Il New York Times ha ricostruito la genealogia di Robert Francis Prevost, erede di una storia familiare che attraversa secoli e continenti
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Un papa con radici haitiane, discendente da donne nere ma anche cugino di quinto grado di uno dei padri dell’indipendenza latinoamericana. Una notizia arrivata pochi giorni fa che, se letta solo come aneddoto genealogico, rischia di ridursi a folklore. Ma se osservata con sguardo critico, decoloniale e contro egemonico, diventa invece una chiave potente per rileggere storia, identità e potere da una prospettiva altra. Da una prospettiva che parte dalle Americhe, dalle sue radici meticce, dalle sue ferite ancora aperte.

Robert Francis Prevost — oggi papa Leone XIV — non è semplicemente il primo pontefice con una storia afrodiscendente. È anche, come ha recentemente ricostruito una minuziosa indagine genealogica pubblicata dal New York Times, l’erede di una storia familiare che attraversa secoli e continenti: dai coloni belgi e spagnoli fino ai quartieri creoli di New Orleans, passando per Haiti, Santo Domingo, Cuba, l’Illinois e infine Roma. In questo intreccio fitto di linee materne e spostamenti forzati, emerge una genealogia che include donne nere, mulatte, persone discriminate e oppresse che vivevano al margine dei codici razziali della Louisiana schiavista. Alcune di loro, con coraggio e strategia, “passavano” come bianche per sopravvivere e ingannare il sistema di violenza strutturale nel quale erano obbligate a muoversi. Altre rivendicavano la loro condizione, diventando custodi di una memoria silenziata.

L’altro ramo dell’albero genealogico del Papa si innesta invece nella figura di Antonio José de Sucre, uno dei più valorosi e apprezzati generali di Simón Bolivar, protagonista dell’indipendenza di Ecuador e Perù, stratega militare e precursore del diritto internazionale umanitario. Nato a Cumaná (Venezuela) nel 1795, Sucre rappresenta tuttora una delle espressioni più alte della tradizione emancipatrice latinoamericana, un uomo morto troppo giovane, a 35 anni, assassinato a Pasto (in un attentato mentre si muoveva dalla Colombia verso l’Ecuador) che altresì avrebbe brillato per decenni nel firmamento latinoamericano.

Ebbene, secondo quanto emerso, Leone XIV e Sucre sono cugini di quinto grado: le loro vite, pur distanti nel tempo, si sfiorano attraverso un’eredità comune che non è solo di sangue, ma anche di simboli, valori e possibilità narrative.

Questa connessione familiare, sorprendente e profonda, va molto oltre la cronaca. Mette in discussione il modo in cui costruiamo l’autorità spirituale e il potere istituzionale. Il papa, il capo visibile della Chiesa cattolica, non ha solo origini haitiane: porta dentro di sé un’intera genealogia afrodiscendente, che oggi torna alla luce in tutta la sua portata politica. E questa genealogia non è marginale, non è un dettaglio folklorico; è un modo concreto di incarnare una storia cancellata, quella dei popoli neri, meticci, migranti e resistenti. È il segno che persino dentro le mura di San Pietro può vivere la memoria di chi, storicamente, è stato escluso dalla narrazione dominante.

In questo senso, il legame con Sucre non è casuale. Come lui, Leone XIV è figlio di un continente che ha lottato — e ancora lotta — per uscire dalle logiche imposte dalla colonizzazione. Le loro genealogie si intrecciano nei secoli, ma si riconoscono anche nel presente. Entrambi portano addosso la tensione tra potere e giustizia, tra dominio e liberazione. Entrambi incarnano, a modo loro, la possibilità di un’autorità diversa, fondata sulla memoria, sull’ascolto, sull’inclusione.

In tempi in cui le destre radicali avanzano, in cui i diritti delle persone afrodiscendenti, dei popoli indigeni, delle comunità migranti e delle soggettività dissidenti vengono ridotti o negati, questa rivelazione genealogica ha in potenza una forza destabilizzante. Racconta che nessuna identità è pura, che nessun potere è davvero monolitico, che anche le istituzioni più antiche sono attraversate da storie sommerse. E riconoscerle, oggi, è un atto politico.

Da latinoamericanista, non posso che accogliere questa scoperta come un’occasione per rimettere al centro una storia che parte dal Sud globale e risale, per vie inaspettate, fino ai vertici del potere religioso mondiale. Non si tratta di celebrare un’origine esotica, né di romanticizzare il passato, ma di comprendere che le genealogie — quelle oltre i documenti di carta, quelle che portano con sé ferite, soprusi, memorie e resistenze — sono strumenti preziosi per decostruire i discorsi egemonici e tessere narrazioni di giustizia, riparazione e riconciliazione.

Il papa Leone XIV è, con ogni evidenza, un ponte tra mondi: tra Europa e Caraibi, tra Vaticano e Ayacucho, tra Vangelo e decolonizzazione. La sua esistenza, e quella dei suoi antenati, ci ricorda che la storia non è mai neutra. E che neanche il sangue lo è. Non si tratta solo di una questione biologica, ma anche politica, culturale, spirituale. In un mondo che alza muri, è anche in queste parentele improbabili che possiamo trovare la forza per costruire ponti.

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