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‘Ho ancora le mani per scrivere’: 222 testi da Gaza mentre si consuma il genocidio

Gli scritti raccolti da Nicosia gridano tutta l'urgenza del riconoscimento umano che i gazawi chiedono non solo per loro stessi, ma soprattutto per le ragioni della loro lotta
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Nei giorni in cui Gaza viene definita “un fronte secondario” specie dopo l’attacco americano alle basi nucleari iraniane, la cronaca quotidiana ci mostra che per quanto riguarda l’intensità dei bombardamenti e l’accanimento contro i palestinesi, “secondario” è solo un eufemismo. Le prime pagine dei giornali e i servizi di apertura dei tg sono dedicati all’ultima folle impresa di Trump&Netanyahu, distruggere l’arsenale atomico di Teheran per arrivare a un “regime change”, ma i social continuano a mostrarci l’orrore del genocidio di Gaza. Video, foto, semplici scritti di palestinesi che affidano a Instagram, Facebook o X quelli che spesso sono i loro ultimi pensieri prima di essere uccisi. “Ho ancora le mani per scrivere” (ed. Q), l’ultimo libro a cura di Aldo Nicosia nel sottotitolo – “Testimonianze dal genocidio di Gaza” – spiega la sua missione: raccogliere e diffondere 222 testi di scrittori, poeti, giornalisti e semplici cittadini, scritti dall’interno della Striscia in un periodo compreso tra l’ottobre del 2023 e il settembre 2024.

Con la stessa prospettiva con la quale il regista palestinese Rashid Masharawi ha prodotto l’insieme di cortometraggi “Gaza from Ground Zero”, Nicosia insieme ad altri 44 traduttori italiani e arabi, ha voluto diffondere queste testimonianze a distanza zero dalla Striscia “nella speranza di mantenere il ricordo di chi le ha scritte”, spesso perdendo la vita, per far arrivare fino a noi il loro grido di dolore, come gli oltre 200 giornalisti palestinesi uccisi dall’esercito israeliano perché testimoni (in arabo testimone e martire hanno la stessa radice) del genocidio in corso. Un genocidio che a livello verbale fa ancora fatica a essere riconosciuto come tale benché non si tratti di un’opinione, ma di rispondenza a precisi criteri giuridici.

La Storia un giorno metterà il sigillo finale sulla sterile diatriba in merito all’uso del termine ‘genocidio’ a Gaza, ma gli scritti raccolti da Nicosia gridano tutta l’urgenza del riconoscimento umano che i gazawi chiedono non solo per loro stessi, ma soprattutto per le ragioni della loro lotta. Haydar al-Ghazali, poeta 20enne, inizia così, il 10 luglio scorso, il suo messaggio: “Domani quel giovane di Gaza dovrà prendere una decisione ed egli non sceglierà mai la guerra“. Perché una simile affermazione? “Io in qualità di palestinese non potrei mai essere contro la Resistenza e la sua lotta: – spiega – La frase di prima nasce da quello che ho vissuto in prima persona insieme a tutto il mio popolo. Il giovane palestinese che ha vissuto massacri, esodi, carestie, assedi non sceglie la guerra a cuor leggero, ma come obbligo morale, come ultima soluzione inevitabile, poiché la lotta in tutte le sue forme è un diritto legittimo per ogni popolo che vive sotto occupazione”.

Così nelle parole semplici, ma cristalline di un giovane poeta di Gaza sentiamo l’eco di un dibattito che va avanti da decenni e che trova nel diritto internazionale la sua massima espressione. La risoluzione 37/43 delle Nazioni Unite adottata nel 1982, citando esplicitamente “il diritto del popolo della Palestina e di tutti i popoli sotto dominio straniero o coloniale” riafferma “la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio e dall’occupazione coloniale e straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”.

E tornano in mente le parole del leader socialista Bettino Craxi il 6 novembre 1985, quando da Presidente del Consiglio disse alla Camera parole che oggi che gli varrebbero almeno due accuse, quella di antisemita e quella di amico del terrorismo: “Io contesto all’Olp (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ndr) l’uso della lotta armata, non perché ritenga che non ne abbia diritto, ma perché ritengo che la lotta armata non porterà a nessuna soluzione. (…) Però non ne contesto la legittimità, che è cosa diversa (…) Contestare a un movimento che voglia liberare il proprio Paese da un’occupazione straniera la legittimità del ricorso alle armi, significa andare contro le leggi della storia”. E la storia, come scrive il poeta giordano-palestinese Musa Hawamdeh, curatore dell’opera originale in arabo di “Ho ancora le mani per scrivere” ci sta gridando che basta guardare e leggere, proprio ora, proprio qui, per capire chi siano “i veri esseri umani e chi gli assassini, chi le vittime e chi i carnefici”.

In copertina ‘Migration’ di Mohammed Aljaj (Palestine Museum Us)

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