Figlio conteso, la Cedu condanna l’Italia per il caso Laura Massaro: “Violati i diritti del padre”

Centocinquanta passi. Tanto separa il Parlamento Europeo che nel 2022 premiò Laura Massaro come “madre coraggio” dalla Corte europea dei diritti umani, che dopo 12 anni ha condannato l’Italia per aver violato quelli del padre, Giuseppe Apadula. La decisione getta una luce nuova su un caso di figlio conteso diventato “nazionale” per il forte impatto politico e mediatico ricevuto negli anni. Secondo la Cedu (qui la sentenza), l’Italia ha negato ad Apadula il diritto alla vita familiare, alle visite e a un processo in tempi ragionevoli. Per evitare guai peggiori, il governo ha ammesso la violazione e offerto un risarcimento. La Corte ha accettato, ma si riserva di riaprire il caso.
Il risarcimento è di 20mila euro, cifra simbolica per Apadula, che si è indebitato per difendere i propri diritti e contrastare accuse di “violenza” poi smentite da giudici e consulenti. Gli unici imputati oggi sono la madre, accusata di inottemperanza dolosa e diffamazione, e alcuni operatori sociali finiti sotto procedimenti disciplinari o penali: un’assistente sociale ammonita per parzialità, un altro operatore imputato per mancata esecuzione di provvedimenti. Anche due testate, Repubblica e Dire, sono state condannate per aver rilanciato la versione a senso unico della madre definendo il padre “violento”, abusante e stalker. La sentenza è uscita ad aprile. Nessun articolo riparatore. Il figlio oggi può leggere ancora e solo gli articoli che demoliscono immagine e reputazione del padre. Anche la politica, dopo anni di protagonismo militante, ora tace.
La vicenda inizia nel 2013. Il Tribunale riconosce il diritto di visita del padre. Lo confermano Minori, Appello, Cassazione. Nel 2021, arriva la decadenza della madre e l’ordine di allontanamento del figlio. Lei lo nasconde per 256 giorni, sottraendolo anche alla scuola. Il caso esonda fuori dalle aule di tribunale. Massaro denuncia sui social presunte violenze e abusi mai confermati. Punta il dito contro un presunto “complotto” di magistrati, assistenti sociali, operatori, un “sistema patriarcale” che vorrebbe strapparle il figlio. Le sue parole vengono accolte e rilanciate da associazioni e politici, impegnati contro la violenza sulle donne, le discriminazioni di genere e l’alienazione parentale.
La senatrice Valeria Valente – allora presidente della Commissione Femminicidio – scriveva: “La battaglia della sig.ra Massaro è anche la nostra. Stiamo giocando con tutte le armi in nostro potere, formali e informali. Vinceremo o perderemo insieme”. Di che “armi” si trattasse, non si è mai saputo e contattata oggi si limita a dire: “Stiamo valutando una possibile interrogazione in attesa di avere gli atti. Se non leggiamo quelli è complicato parlare nel merito”. Massaro ottiene sette conferenze stampa alla Camera. Nel 2021, su proposta di Boldrini, il Corriere la nomina “donna dell’anno”. L’anno dopo, il Parlamento europeo – con Paola Picierno vicepresidente – le assegna il titolo di “Primo cittadino europeo”. Le lettere di Apadula alle massime cariche dello Stato, invece, restano senza risposta. La visibilità politico-mediatica cambia poi il corso della storia.
Nove mesi dopo la sentenza di allontanamento, la Cassazione decide di ascoltare il bambino che dichiara di voler restare con la madre che lo ha cresciuto, non col padre che negli ultimi sei anni ha potuto vedere per 4 ore e 33 minuti. I giudici, pur rilevando un comportamento “gravemente ostacolante” della madre nei confronti dell’altro genitore sanciscono il collocamento del figlio a Laura Massaro. “Una vittoria dello Stato di diritto”, esultarono molti. Ma la sentenza della CEDU dimostra che lo Stato di diritto non aveva affatto vinto, ha perso lo stesso violando i diritti del padre per anni.
“I giudici devono ancora esprimersi su alcuni aspetti residui, ma dal punto di vista giuridico non ci sono più margini”, spiega l’avvocato Egidio Lizza. “Il sistema ha preso atto del fatto: un rapporto padre-figlio compromesso dall’alienazione, considerato ormai irreversibile, ed sconfortante come l’inerzia di magistratura e servizi sociali per oltre dieci sia anni diventa oggi un alibi per non intervenire. Come se l’aver tollerato un’ingiustizia per tanto tempo la rendesse legittima”.
Il termine evocato, quello dell’alienazione parentale, sta a significare la tendenza di un genitore a manipolare i figli per danneggiare il rapporto con l’altro genitore, creando un rifiuto verso di lui. Un termine che viene spesso evocato nelle cause per l’affidamento, sul quale la stessa Cassazione e la Corte Costituzionale hanno avuto orientamenti diversi caso per caso, ma senza mai indicare tale condotta ostacolante, quando accertata, come motivo sufficiente per decidere del destino del minore. Affermando semmai il principio per cui tra i requisiti di responsabilità genitoriale figura anche la capacità di mantenere il legame con l’altro genitore.
L’avvocato Mirella Zagaria, esperto di diritto di famiglia e minorile sottolinea il ruolo che possono avere soggetti terzi rispetto a vicende come questa: “L’inosservanza delle prescrizioni dell’Autorità giudiziaria da parte della madre del minore, reiterato in oltre 10 anni è stato sostanzialmente premiato dalle parlamentari e da certa stampa come se in uno Stato di diritto fosse lecito incoraggiare a delinquere”.
Chi era in prima linea nel dare sostegno alla battaglia di Laura Massaro, oggi sembra prendere le distanze. L’associazione Differenza Donna ad esempio, fa sapere che non aveva seguito il caso con le loro legali e invita a scrivere direttamente a Laura Massaro su Facebook che “sicuro risponde e dà informazioni”. Ma la signora non risponde. Lo fa l’avvocato Antonio Voltaggio, patrocinante in Cassazione. “Ho difeso con convinzione la sig.ra Massaro in quel giudizio che ha tolto la “spada di Damocle” che incombeva sul minore rappresentata dal collocamento forzoso in struttura, “misura non conforme allo Stato di diritto”. È in seguito a questa decisione che nel giudizio di rinvio il minore ha potuto esprimere le sue opinioni e bisogni”.
Quanto alla decisione Cedu 4337/24 “penso che, se il Governo avesse approfondito tali aspetti, avrebbe avuto argomenti forti per contrastare l’asserita violazione dell’art. 8 Convenzione Cedu”. In realtà il Governo ha inviato memorie e contromemorie nel tentativo di resistere, prima di arrendersi. La sentenza cita 12 precedenti italiani, sottolineando che la giurisprudenza in materia è “chiara e abbondante”.