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Le liste d’attesa sono un problema cronico della nostra sanità: basterebbe poco per rivoluzionare tutto

Oggi molte strutture private prosperano proprio grazie alle inefficienze del pubblico. Ma con questo sistema, il loro business dipenderebbe dalla reale necessità di supplenza
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di Claudio Carli

Le code nei pronto soccorso, le attese interminabili per una visita specialistica, le liste d’attesa che si allungano a dismisura: è l’emergenza sanitaria che ogni giorno milioni di italiani si trovano ad affrontare. Un problema cronico, che sembra senza via d’uscita, e che invece potrebbe essere risolto con una misura semplice ma rivoluzionaria: obbligare il privato a farsi carico di parte del carico del pubblico, finché permangono le liste d’attesa.

Il nodo da sciogliere: pubblico sovraccarico, privato sottoutilizzato

Il sistema sanitario italiano è diviso in due mondi paralleli: da un lato il pubblico, gratuito ma spesso al collasso, dall’altro il privato, efficiente ma accessibile solo a chi può permetterselo. Eppure, gran parte delle strutture private convenzionate opera grazie a fondi pubblici, senza però contribuire alla riduzione delle liste d’attesa. Una contraddizione che potrebbe essere superata con un meccanismo virtuoso: se il Cup, di fronte a una lista d’attesa troppo lunga, potesse dirottare il paziente verso una struttura privata, facendogli pagare solo il ticket, si alleggerirebbero immediatamente le code nel pubblico.

Come funzionerebbe il sistema

1. Monitoraggio delle liste d’attesa: quando i tempi di attesa superano una certa soglia (es. 90 giorni per una risonanza magnetica), il Cup propone automaticamente l’opzione privata.
2. Pagamento del solo ticket: il paziente non paga la prestazione per intero, ma solo la quota prevista dal Ssn, come se si rivolgesse al pubblico.
3. Rimborso al privato: lo Stato rimborsa le strutture private al costo standard della prestazione, senza extra.

In questo modo, i pazienti non sarebbero costretti a pagare cifre esorbitanti per visite urgenti, il privato avrebbe un flusso garantito di pazienti ma solo se il pubblico è in difficoltà, lo Stato spenderebbe meno che finanziare nuovi posti letto o assumere personale aggiuntivo.

Oggi molte strutture private prosperano proprio grazie alle inefficienze del pubblico. Ma con questo sistema, il loro business dipenderebbe dalla reale necessità di supplenza: se il pubblico funziona, le code si riducono e il privato perde parte dei pazienti “dirottati”. Un meccanismo che incentiverebbe anche le cliniche private a spingere per un pubblico più efficiente, anziché approfittarne. In Paesi come Francia e Germania, il sistema sanitario prevede già una collaborazione strutturata tra pubblico e privato, con liste d’attesa molto più corte. In Italia, qualche regione (come la Lombardia) ha provato a introdurre meccanismi simili, ma in modo frammentario e senza un coordinamento nazionale.

Le obiezioni (e le contro-risposte):

1. “Il privato si arricchisce sulle spalle del pubblico”: no, perché verrebbe rimborsato solo per le prestazioni necessarie, senza margini di guadagno eccessivi.
2. “Lo Stato spenderebbe di più”: in realtà, ridurre le liste d’attesa significa ridurre i costi indiretti (assenze dal lavoro, cronicizzazioni per ritardi nelle cure).
3. “È una privatizzazione strisciante”: al contrario, è un modo per salvaguardare il pubblico, evitando che collassi sotto il peso della domanda.

Insomma, la soluzione c’è, ed è a portata di mano. Ma per applicarla servirebbe una regia nazionale e una legge che imponesse ai privati convenzionati di contribuire al bene comune. Finora, però, manca la volontà di rompere un equilibrio che, in fondo, a qualcuno (troppi) conviene mantenere. Eppure, basterebbe poco: un sistema più flessibile, che metta davvero il paziente al centro. Prima che le code lo schiaccino del tutto.

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