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Musk cotto e mangiato dalla politica alla Casa Bianca. Così il dominatore Trump licenzia il suo “First Buddy”

Il magnate conclude il suo lavoro a Washington con risultati che non sembrano degni di un “grande leader”. E ora bisognerà capire che fine farà il dipartimento creato per lui
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Ci sono pochi dubbi che Elon Musk esca dai 130 giorni di esperienza a Washington piuttosto ammaccato. L’occhio nero che il proprietario di Tesla e Space X ha esibito in conferenza stampa – e che lui dice dipendere da un gioco un po’ manesco con il figlio di cinque anni, X – è il simbolo esterno di un interludio politico che non è probabilmente andato come lui sperava. Risultati politici e amministrativi limitati, rispetto alle attese. Continui scontri con la burocrazia e la politica di Washington, in particolare proprio con i repubblicani. Effetti disastrosi sulle sue aziende. Incursioni poco piacevoli nella sua vita privata. Musk dice che nel futuro intende restare “nell’orbita della politica trumpiana”, ma la cosa è tutt’altro che certa. Washington gli ha lasciato – in termini personali e aziendali – ben più di un occhio nero.

C’è una cosa che anzitutto emerge, dalla conferenza stampa di addio del miliardario sudafricano. Donald Trump è tornato a controllare la situazione. Forse, non ha mai perso quel controllo. Per mesi si è speculato sul ruolo di Musk. Per mesi il team del presidente, e i repubblicani, hanno temuto che Musk acquisisse troppo potere alla Casa Bianca. Troppa influenza su Trump. Non è stato così. Se pure la conferenza stampa era stata organizzata per rendere onore al “First Buddy” del presidente – chi per mesi è sembrato essere il suo principale alleato e collaboratore – il vero dominatore della scena non è stato il “First Buddy”, ma appunto il presidente. Trump ha coperto Musk di elogi. “Il servizio reso da Elon all’America non ha eguali nella storia moderna”, ha detto Trump, consegnando all’amico in partenza una chiave d’oro decorata con l’emblema della Casa Bianca. Quasi subito, la conferenza stampa ha però preso una piega che poco c’entrava con Musk. Trump si è messo a pontificare sui problemi matrimoniali di Emmanuel Macron, sul possibile perdono a Sean Combs – il rapper e produttore musicale sotto processo per violenza e traffico sessuale – sulle prospettive del suo governo. Musk è entrato in scena, nelle parole di Trump, soprattutto come strumento della volontà di Trump. Quando si è trattato di descrivere i successi di Musk alla guida del DOGE, il Dipartimento all’Efficienza Governativa, il presidente ha citato ciò che più accende la sua base conservatrice: i tagli ai programmi di inclusione e diversità del Dipartimento all’Educazione; quelli all’assistenza abitativa per gli immigrati a New York.

Il modo in cui è stata condotta la conferenza stampa è interessante perché rivela i possibili sviluppi futuri. Come mostra l’orgogliosa rivendicazione di sé e del suo ruolo in conferenza stampa, è stato Trump, e non Musk, a beneficiare di più da questi mesi di collaborazione. Definito da Trump “uno dei più grandi leader e innovatori che il mondo abbia mai conosciuto”, Musk conclude il suo lavoro a Washington con risultati che non sembrano però degni di un “grande leader”. In campagna elettorale, aveva promesso tagli al budget federale per almeno 2000 miliardi – cifra rapidamente scesa a mille miliardi. Il sito del DOGE riporta ora risparmi per 175 miliardi di dollari, quindi molto al di sotto delle promesse (e, secondo molti, la cifra di 175 miliardi è già ampiamente gonfiata). Peraltro, se a inizio mandato Musk si presentava sul palco della Conservative Political Action Conference con una sega, proclamando “quanto è facile risparmiare miliardi di dollari, talvolta in un’ora sola”, le ultime dichiarazioni appaiono molto meno muscolari. “È un lavoro durissimo, quello all’interno del governo”, ha spiegato Musk, nella conferenza stampa di addio.

I metodi utilizzati per ridurre i costi e licenziare almeno 200 mila dipendenti federali – elaborati nel segreto, al di fuori di limiti e controlli, con il suo team che irrompeva a sorpresa nei Dipartimenti sequestrando dati e informazioni riservate – gli hanno poi attirato una delle peggiori pubblicità che storia politica ricordi. Molti senatori e deputati repubblicani hanno rapidamente preso le distanze, per le proteste che le decisioni di Musk hanno sollevato tra gli stessi elettori conservatori. Per i democratici, Musk è stato simbolo di brutalità attorno a cui raccogliere il grido di battaglia anti-Trump. Campagne di mobilitazione e boicottaggi si sono allargati a macchia d’olio. Sono state soprattutto le vendite di Tesla, l’azienda universalmente identificata con Musk, a risentirne. Mentre gli affari subivano una pericolosa flessione, anche la vita privata prendeva una piega dolorosa. Un recente articolo del New York Times racconta l’uso sempre più smodato di droghe da parte di Musk. Ketamina. Ecstasy. Funghi allucinogeni. Stimolanti vari, tra cui l’Adderall. Persone dell’entourage descrivono l’arsenale di sostanze con cui Musk ha in questi mesi convissuto.

Il suo comportamento, le sue dichiarazioni, sono diventati sempre più erratici e imprevedibili. Saluti nazisti. Insulti a mezzo mondo. Evidente incapacità di tenere il filo del discorso nelle interviste. Cause legali con i figli – ne ha 14 – e una girandola di relazioni sentimentali, spesso in contemporanea, hanno reso ancora più tormentata l’ultima fase della sua vita. Musk dice ora di voler contribuire con oltre 100 milioni di dollari a una serie di campagne conservatrici, prima delle elezioni di midterm del 2026. Quei soldi non si sono però ancora visti e del resto lo stesso Musk ha recentemente spiegato: “Penso che, in termini di finanziamenti alla politica, farò molto meno nel futuro. Ho dato abbastanza”. È questo ciò che probabilmente avverrà. Dopo aver contribuito con quasi 300 milioni di dollari alla campagna repubblicana del 2024, Musk punta a tornare, almeno temporaneamente, nell’ombra. L’ombra è ciò di cui ha bisogno per rimettere in sesto la sua vita, la sua psiche, i suoi affari, dopo mesi turbolenti e faticosissimi.

Musk non è però soltanto Musk. Musk è il DOGE, il dipartimento che ha messo in piedi per tagliare e ristrutturare il governo americano. E qui, è molto più difficile prevedere cosa accadrà. A giudicare da quanto detto da Trump e dallo stesso Musk durante la conferenza stampa di venerdì, il DOGE continuerà a operare a pieno ritmo. Proprio il presidente ha spiegato che Musk ha installato nelle varie agenzie del governo “geni con una mentalità ingegneristica e persone incredibilmente talentuose nel campo informatico”. A loro spetterà dunque continuare quell’opera di razionalizzazione avviata dal miliardario, che comunque, sempre a detta di Trump, “non se ne andrà davvero. Farà avanti e indietro. Ho la sensazione che resterà legato al suo progetto”. Sono dichiarazioni difficili da verificare.

L’ordine esecutivo con cui Trump ha istituito il DOGE fissa una data per la fine delle sue attività: il 2026. Cosa succederà a quel punto? Il Dipartimento continuerà a esistere? Le sue operazioni verranno demandate ad altre agenzie e dipartimenti? Non si sa. Per ora l’amministrazione non ha appunto annunciato i piani futuri relativi alla struttura, e non ha annunciato neppure chi la guiderà. Il nome che si fa in queste ore è quello di Russell Vought, direttore dell’Office of Management and Budget, l’uomo che ha contribuito alla scrittura del Project 2025, il manifesto conservatore della Heritage Foundation. Ma non ci sono certezze e la lotta di potere innescata dalla partenza di Musk potrebbe avere effetti sulle operazioni attuali, e sull’esistenza futura, dello stesso DOGE.

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