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Dazi, ora cosa cambia? La decisione dei giudici aumenta l’incertezza. Ecco come può reagire Trump

La Casa Bianca ha già fatto ricorso contro la sentenza e può aggirare la decisione con altri strumenti. Per esempio la sezione 338 del Tariff Act del 1930, attivabile quando i prodotti Usa siano oggetto di "discriminazioni ingiuste". I negoziati con la Ue continuano
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Un sospiro di sollievo che potrebbe durare poco. La sentenza che blocca i dazi reciproci di Donald Trump, giunta nel bel mezzo delle trattative per evitarne l’entrata in vigore dal 9 giugno, piace ai mercati, ma la nuova tregua è fragile. La Casa Bianca ha già presentato ricorso e – prevede Goldman Sachs – troverà “altri modi per imporre tariffe“. I negoziati con i Paesi colpiti, dunque, andranno avanti. In un clima di ancora maggiore incertezza, avverte la banca d’affari. E l’incertezza è il peggiore nemico delle imprese: impossibile investire o assumere al buio, senza conoscere in anticipo le regole del gioco. Risultato: difficilmente verranno riviste le previsioni di tutti gli osservatori, dalla Commissione Ue all’Ocse, secondo cui la guerra commerciale scatenata dal tycoon avrà un impatto negativo sul pil globale.

Dieci giorni per eliminare due categorie di dazi – La prima cosa da chiarire è che la sentenza non è immediatamente esecutiva. La Corte statunitense per il commercio internazionale ha infatti imposto all’amministrazione di fermare per mancanza di base giuridica valida due gruppi di dazi imposti negli ultimi mesi, contestando il fatto che Trump abbia fatto leva su una legislazione approvata durante la Guerra Fredda per affrontare questioni di sicurezza nazionale. Per tradurre in pratica la sentenza ci sono però 10 giorni di tempo.
Ammesso che venga prontamente eseguita, quali dazi saranno eliminati? In primo luogo quelli del 10% rimasti in vigore sulle importazioni da quasi tutto il mondo dopo che il presidente, lo scorso 9 aprile, ha sospeso quelli reciproci annunciati una settimana prima. Poi quelli del 30% imposti alla Cina dopo la “tregua” raggiunta in Svizzera e quelli del 25% sulle merci di Canada e Messico decisi come ritorsione per l’immigrazione illegale e il traffico di fentanyl. Idem per le tariffe aggiuntive del 20% sull’import da Pechino sempre per il suo ruolo nella produzione ed esportazione dell’oppioide sintetico il cui abuso è diventato un’epidemia negli Usa. Invece la sentenza non coinvolge i dazi settoriali del 25% su acciaio, alluminio, auto e componentistica, che non sono stati oggetto di ricorso e sono stati varati applicando una legge differente.

Che opzioni restano a Trump – A prima vista si tratta comunque di una schiarita. Ma “non bisogna vederla come una vittoria“, avverte parlando al Washington Post Joseph Steinberg, economista dell’università di Toronto. Perché il dipartimento di Giustizia ha già presentato ricorso presso la corte d’appello del distretto federale (se fosse respinto le aziende che hanno versato i dazi si vedrebbero restituire i soldi con gli interessi) e il gradino successivo potrebbe essere la Corte Suprema. L’amministrazione Trump può nel frattempo aggirare la decisione con altre soluzioni giuridiche. Il Financial Times suggerisce il ricorso all’articolo 22 del Trade Act del 1974, che permette al presidente di introdurre barriere commerciali a fronte di “grandi deficit della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti”, ma consentirebbe dazi non oltre il 15% e richiederebbe un via libera del Congresso entro cinque mesi. Un’altra strada possibile è attivare per la prima volta la sezione 338 del famigerato Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che avrebbe aggravato la Grande depressione. È un’arma attivabile nel caso si ravvisi una discriminazione ingiusta nei confronti dei prodotti Usa, cioè “qualsiasi onere, esazione, regolamentazione o limitazione irragionevole” imposta da altri Paesi. Come è noto Trump ritiene che Iva, tassa minima sulle multinazionali e norme sui doveri di Big Tech in vigore in Ue corrispondano all’identikit. Potrebbe quindi ricorrere a quella norma per imporre dazi fino al 50%: proprio l’aliquota minacciata nei confronti del Vecchio continente venerdì scorso.

I negoziati continuano – Ne deriverebbero con tutta probabilità nuove impugnazioni, in una girandola giuridica deleteria per l’economia a cui il tycoon sostiene di voler mettere il turbo anche se nel primo trimestre 2025 il pil Usa è calato. Certo, se il ricorso fosse respinto e Trump scendesse a più miti consigli le aziende che hanno versato i dazi si vedrebbero restituire i soldi con gli interessi. Ma è un esito altamente incerto. In questo quadro le cancellerie che stavano trattando con gli Usa per trovare un accordo come si muoveranno? Al momento non ci sono le basi per considerare risolto il problema, visto che l’offensiva mirata a ridurre un deficit commerciale ritenuto “ingiusto” è un’architrave della seconda presidenza Trump e che i dazi su acciaio, alluminio e automobili restano operativi.
Insomma: i colloqui continueranno. Per quanto riguarda la Ue, i vertici della Commissione – che per ora non ha commentato la sentenza – avevano annunciato nei giorni scorsi l’intenzione di intensificare gli incontri e i commissari competenti vedranno una delegazione statunitense alla ministeriale Ocse della prossima settimana a Parigi. Possibile che l’approccio venga “aggiustato” per tener conto che al momento Washington è un po’ più debole. “C’è tempo per continuare a negoziare e arrivare almeno a un’intesa di principio sulle principali basi di una relazione commerciale rinnovata fra Stati Uniti ed Europa”, ha detto il ministro spagnolo dell’ Economia, Carlos Cuerpo.
Più avanti si era ipotizzato un bilaterale tra Trump in persona e Ursula von der Leyen. Prima occorrerà capire gli sviluppi del nuovo colpo di scena arrivato nella notte.

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