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La testimonianza, attesa e citata dalla famiglia, dell'ad dell'Eni Claudio Descalzi
Né dalla Farnesina, né dal governo Renzi, l’Eni fu sollecitata per attivarsi sul caso Regeni dopo la scomparsa del giovane ricercatore il 25 gennaio 2016, poi ritrovato senza vita, con visibili segni di tortura, il 3 febbraio seguente, lungo la strada tra il Cairo e Alessandria. Questo è quanto emerso dalla testimonianza, attesa e citata dalla famiglia, dell’ad della compagnia petrolifera, Claudio Descalzi, nel corso di una nuova udienza del processo sulla sparizione, le torture e l’omicidio del ricercatore italiano, che vede sotto accusa quattro 007 egiziani. Ovvero, Usham Helmi, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati del reato di sequestro di persona pluriaggravato (mentre al solo Sharif sono contestati anche i reati di concorso in lesioni personali aggravate e di concorso in omicidio aggravato, ndr).
Descalzi ha spiegato di avere “saputo purtroppo del sequestro e del decesso di Giulio Regeni a febbraio del 2016 quando la notizia è stata pubblicata dai giornali“. E come, al di là della presenza di Eni in Egitto, le istituzioni italiane “non ci hanno mai chiesto di chiedere informazioni“.
Nell’agosto 2015, ha ricordato Descalzi, Eni aveva già “moltissime attività in Egitto” e “aveva scoperto Zohr“, un giacimento di gas naturale offshore considerato la più grande riserva del Mediterraneo. Era stata Report a svelare negli scorsi mesi come, il 27 gennaio del 2016, mentre Giulio era stato rapito, si trovava nelle carceri dei servizi segreti egiziani, il numero due dell’Eni, Antonio Vella, volò al Cairo per incontrare la seconda carica più importante dello Stato, il primo ministro Sherif Ismail. Tutto mentre invece le istituzioni egiziane avevano tirato su “un muro di gomma” nei confronti di quelle italiane sul caso Regeni. Negandosi alle autorità italiane, come raccontato a più riprese nel corso del processo.
Si trattava di incontri preparatori, prima della firma definitiva dell’accordo per la gestione del giacimento, che sarebbe avvenuta a fine febbraio, quando lo stesso Descalzi arriverà al Cairo. Episodi confermati da Descalzi, che però precisa: “Si erano concluse già a dicembre, inizio gennaio, tutte le negoziazioni, Vella doveva firmare il piano di sviluppo finale. In quel periodo era a capo delle attività upstream di Eni, è andato spesso in Egitto, è plausibile che lui abbia parlato con il primo ministro o con il ministro”. E ancora: “Se Renzi mi chiese di perorare la causa di Giulio? Non ci è stato chiesto, anche perché fino a inizio febbraio non sapevamo nulla. Renzi non sapeva nemmeno che uno dei nostri andasse in Egitto“. Allo stesso modo Descalzi ridimensiona la presenza e il ruolo all’interno della Farnesina di un rappresentante della compagnia petrolifera, chiarendo come sia “un quadro”, senza contatti di altro livello: “Se fosse stato informato lui, saremmo stati informati noi”. E ancora “Noi siamo una società quotata, abbiamo una partecipazione del governo, abbiamo competenze ingegneristiche ma non siamo diplomatici. Non abbiamo competenze su questo, è il mestiere della Farnesina, potrebbe anche essere pericoloso muoversi in un terreno che non ti compete”.
Eppure, Descalzi ha spiegato, dopo aver appreso la notizia di Regeni, di aver tentato di chiedere cooperazione all’Egitto: “Mi è sembrato doveroso parlare con il presidente Al Sisi e con il ministro egiziano per chiedere chiarezza su quanto avvenuto. È stata una mia iniziativa, ripetuta due o tre volte. Mi sono arrivate rassicurazioni, ma poi chiarezza non è stata fatta“. Per poi tagliare corto: “In passato avevo detto di avere fiducia? Sarei ingenuo dopo tutti questi anni in cui non si è ottenuto nulla”. Descalzi ha poi chiarito in merito alla frase “Sono paesi che se dai ricevi“, che lo stesso ad Eni disse tempo fa in pubblico. “Capisco che oggi suona male, ma volevo dire come, dopo la chiusura del gas russo, abbiamo dovuto cercare fonti per sostituirlo. Noi diamo il gas che scopriamo a quei paesi. Ciò che volevo dire è che visto che prendi grossi rischi nel dare tutto il gas che scopri, nel momento in cui l’Italia ne ha avuto bisogno Algeria, Libia e Egitto hanno rinunciato al gas per farlo avere al nostro Paese. Quindi parlavo di ben altri bisogni, in ambito energetico, relativamente alle necessità italiane”.
Per poi precisare di non aver mai chiesto ai dipendenti Eni presenti in Egitto di svolgere indagini: “Questo anche per non mettere a rischio le persone. Io non ho mai ricevuto informazioni privilegiate, le avrei sicuramente condivise con le autorità, né le ho mai richieste”, ha concluso.