Progetto Ester, ecco la base ideologica dietro la crociata di Trump contro il movimento pro-Palestina e le università

La revoca della certificazione che permette a Harvard di iscrivere studenti internazionali con la motivazione che ospiterebbe “agitatori antiamericani e filo-terroristi” è solo l’ultimo atto, per ora bloccato da un giudice. Donald Trump ha cominciato da tempo a mettere in pratica alcune proposte contenute in un documento politico dal titolo “Project Esther: A National Strategy to Combat Antisemitism” pubblicato il 7 ottobre 2024, a un anno esatto dall’attacco di Hamas con la controffensiva di Israele che ha dato inizio al massacro di Gaza. A redigerlo è stato lo stesso think tank conservatore già autore del più noto Project 2025, il manifesto ideologico, molto dibattuto durante le elezioni americane, per una futura amministrazione repubblicana. Se il “Project 2025” punta a ridisegnare l’intera architettura del potere federale, il “Project Esther”, che prende il nome dalla regina biblica indicata di aver salvato gli ebrei dallo sterminio nell’antica Persia, si concentra su un obiettivo più circoscritto: criminalizzare e smantellare il movimento pro-palestinese negli Stati Uniti, incardinando ogni espressione di dissenso nei confronti di Israele in un quadro giuridico e narrativo che lo equipara al sostegno al terrorismo.
Il documento parte da un presupposto netto: gli Stati Uniti sarebbero attraversati da una “ondata senza precedenti” di antisemitismo. Il centro dell’analisi è l’esistenza di una presunta rete globale denominata Hamas Support Network, che unirebbe gruppi e attivisti pro-palestinesi, università americane, finanziatori stranieri, media liberal e organizzazioni non governative. L’obiettivo di questo network, secondo la Heritage, sarebbe “la distruzione del capitalismo e della democrazia americana”.
Già nell’estate del 2024, la Heritage Foundation aveva messo a punto una strategia comunicativa mirata a far percepire il movimento pro-palestinese come parte di una minaccia sistemica per gli Stati Uniti: una “rete di sostegno a Hamas”, descritta come attiva “non solo contro l’ebraismo americano, ma contro la nazione stessa”. Il piano indicava come bersagli espliciti le organizzazioni statunitensi antisioniste, tra cui Jewish Voice for Peace e Students for Justice in Palestine, accusate di orchestrare le proteste filopalestinesi in coordinamento con potenze straniere ostili. Nei materiali interni destinati ai donatori, resi pubblici da The Forward, il linguaggio si fa ancora più diretto: un’infografica piramidale identifica come responsabili della diffusione dell’antisemitismo presunte “élite progressiste”, tra cui compaiono figure ebraiche come il filantropo George Soros e il governatore dell’Illinois JB Pritzker. I documenti menzionano anche fondazioni come la Tides Foundation e il Rockefeller Brothers Fund, accusate di alimentare un presunto “ecosistema dell’antisemitismo”, e includono come “politici allineati” esponenti come Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.
Questa cornice ideologica si è rapidamente tradotta in una piattaforma operativa. Con l’insediamento di Donald Trump nel gennaio 2025, molte delle proposte contenute nel piano hanno iniziato a essere attuate. Secondo il New York Times, più della metà delle raccomandazioni presenti nel “Project Esther” sono state fatte proprie dal governo guidato da Trump e vari esponenti repubblicani. Intervistati dal giornale, i principali autori del piano, tra cui Victoria Coates – ex vice consigliera per la sicurezza nazionale e ora vicepresidente della Heritage Foundation – hanno rivendicato la coerenza tra le raccomandazioni del documento e le azioni dell’amministrazione. “La fase in cui ci troviamo ora è quella dell’applicazione di sanzioni legislative, legali e finanziarie contro ciò che consideriamo un sostegno materiale al terrorismo”, ha dichiarato Coates. Sebbene la Heritage affermi di non sapere se il piano sia stato adottato formalmente dalla Casa Bianca, Robert Greenway – coautore del documento ed ex direttore per la sicurezza nazionale – ha commentato: “Non è una coincidenza. Abbiamo chiesto determinate azioni, e ora stanno avvenendo”.
Nel concreto, l’attuazione del piano ha già prodotto tagli ai finanziamenti accademici, licenziamenti di docenti, restrizioni all’accesso ai campus per gruppi filo-palestinesi, identificazione di stranieri da sottoporre a procedimenti di espulsione come quello di Mahmoud Khalil, arrestato durante le proteste alla Columbia University e successivamente deportato, divenuto simbolo delle nuove misure restrittive adottate contro il dissenso filo-palestinese, e cause civili contro attivisti. Altre misure includono il coinvolgimento delle forze dell’ordine locali per impedire l’organizzazione di proteste, e la creazione di un clima di pressione legale e amministrativa nei confronti degli oppositori. In linea con le raccomandazioni del documento sul ruolo degli Stati e dei partenariati pubblico-privati, Heritage Action – il braccio operativo del think tank – ha sostenuto l’approvazione in vari Stati di leggi contro i promotori del boicottaggio verso Israele, mentre studi legali vicini alla destra conservatrice hanno avviato azioni giudiziarie contro organizzazioni accusate di legami con Hamas.
Ma il Project Esther non sembra aver raccolto consensi unanimi nel mondo ebraico. Una lettera aperta firmata da oltre trenta ex membri di gruppi ebraici, tra cui l’ex presidente della Anti-Defamation League Robert Sugarman, ha criticato duramente il piano, avvertendo che “una serie di attori sta usando una presunta preoccupazione per la sicurezza ebraica come un pretesto per indebolire l’istruzione superiore, il giusto processo, i pesi e contrappesi, la libertà di parola e la stampa”. I firmatari invitano le istituzioni ebraiche “a resistere allo sfruttamento delle paure della comunità ebraica e a unirsi pubblicamente ad altre organizzazioni che stanno lottando per preservare i pilastri della democrazia”. La direttrice esecutiva Stefanie Fox di Jewish Voice for Peace, indicata dal piano come parte della supposta rete filo-Hamas, ha accusato il“Project Esther” e l’amministrazione Trump di “attingere direttamente dal playbook autoritario, usando prima gli strumenti di repressione contro coloro che si organizzano per i diritti palestinesi” e, così facendo, di “affinare quegli strumenti per l’uso contro chiunque e tutti coloro che sfidano la sua agenda fascista”.