Prevost si sgancia da Bergoglio per tenersi buona la curia: ristabiliti i 500 euro ai dipendenti vaticani (Francesco li aveva destinati ai poveri)

“I papi passano, la Curia rimane”. Leone XIV ha voluto mandare un messaggio chiarissimo alla Curia romana e ai dipendenti vaticani, ricevendoli, nell’Aula Paolo VI, all’inizio del suo pontificato. Una posizione che lo ha immediatamente smarcato dal suo diretto predecessore, Papa Francesco, da sempre allergico, per usare un eufemismo, alla Curia romana. Indimenticabile il discorso che Bergoglio pronunciò, alla vigilia del suo secondo Natale in Vaticano, nel 2014, parlando proprio alla Curia romana, in cui denunciò ben quindici “malattie curiali”. Le parole di Prevost, invece, sono state accompagnate da un gesto molto apprezzato dai dipendenti vaticani: l’elargizione in busta paga della gratifica di 500 euro per l’elezione del nuovo Pontefice. Gratifica che Bergoglio, appena eletto, aveva soppresso per destinare l’intera cifra ai poveri. Ciò, ovviamente, aveva creato notevoli malumori tra i dipendenti vaticani che si sono sempre sentiti maltrattati da Francesco e non ne hanno mai fatto mistero. Bergoglio, infatti, nel periodo compreso tra il 1 aprile 2021 e il 31 marzo 2023, aveva sospeso la maturazione degli scatti biennali di anzianità per i dipendenti vaticani. Un danno economico, non preventivato, destinato a incidere anche sulla liquidazione e sulla pensione. Molti dipendenti, con mutui e figli piccoli, si erano trovati improvvisamente in seria difficoltà e lo avevano fatto subito sapere al Pontefice.
Se Francesco era il Papa della Chiesa in uscita che deve abbandonare le sagrestie per andare nelle strade, negli areopaghi dove il messaggio evangelico è ancora sconosciuto per annunciarlo con la testimonianza e non con il proselitismo, che deve essere presente nelle periferie geografiche ed esistenziali, Leone XIV è il Pontefice che deve ricucire gli strappi all’interno della bimillenaria istituzione ecclesiale. Non si tratta di una brusca frenata con tanto di retromarcia, di cui pure la storia della Chiesa di Roma è assai piena, ma di un momento di riflessione dopo il ciclone Bergoglio. L’elezione di Prevost sulla cattedra di Pietro è la sintesi delle istanze che sono emerse durante le dodici congregazioni generali dei cardinali. Nelle prime cinque di esse, infatti, c’è stato un vero e proprio “tiro al bersaglio”, questa l’espressione adoperata da chi era all’interno dell’Aula Nuova del Sinodo, dove avvenivano le riunioni a porte chiuse, nei confronti di Francesco, con tanto di cardinali bergogliani, o per meglio dire ex bergogliani, diventati improvvisamente dei “voltagabbana”, definizione anch’essa cardinalizia.
Nella messa di inizio del suo pontificato, presieduta in piazza San Pietro, Prevost ha sottolineato che “se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate; al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro: tutti, infatti, siamo costituiti ‘pietre vive’, chiamati col nostro battesimo a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità. Come afferma sant’Agostino: ‘La Chiesa consta di tutti coloro che sono in concordia con i fratelli e che amano il prossimo’. Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato”. Parlando ai cardinali, Leone XIV ha fatto una vera e propria sintesi delle congregazioni generali: “Nella prima parte di questo incontro c’è un piccolo discorso con le riflessioni che vorrei condividere con voi. Ma poi ci sarà una seconda parte, un po’ come l’esperienza che molti di voi avete chiesto, di una specie di condivisione con il Collegio cardinalizio per poter sentire quali consigli, suggerimenti, proposte, cose molto concrete, di cui si è già parlato un po’ nei giorni prima del conclave”.
I cardinali vogliono contare nelle decisioni di governo del Papa. Vogliono essere ascoltati, collegialmente e singolarmente. Non vogliono essere maltratti, né privatamente, né pubblicamente. Vogliono dare il loro contribuito al governo della Chiesa di Roma. Ciò è emerso con estrema chiarezza in moltissimi degli interventi delle congregazioni generali e, ora che c’è stata la fumata bianca, nessuno degli eminentissimi, elettori e non, vuole tornare indietro, temendo possa ripetersi il bis di quanto avvenuto con Bergoglio. Francesco, infatti, notoriamente anticuriale fin dai tempi di Buenos Aires, era stato eletto per scardinare il centralismo romano e far contare maggiormente le periferie nelle decisioni di governo. Una strada che poteva essere concretizzata con il Consiglio di cardinali, istituito da Bergoglio appena un mese dopo la sua elezione, ma anche con i Sinodi dei vescovi. E, invece, le decisioni più importanti sono sempre passate esclusivamente sulla scrivania del Papa, senza mai interpellare il Collegio cardinalizio. Da qui, la scelta di un ormai ex capodicastero della Curia romana come Prevost, al vertice, fino alla morte di Francesco, del Dicastero per i vescovi. Un uomo abituato ad ascoltare molto negli anni in cui è stato alla guida degli agostiniani e poi vescovo missionario in Perù. Un pastore capace di sentire tutte le istanze coinvolte e meditare a lungo prima di decidere, ma, poi, fermo nelle sue scelte. Un autentico uomo di governo che possa creare quell’armonia all’interno della Chiesa cattolica, a iniziare dalla Curia romana, auspicata da numerosi porporati: “Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”. Un vero e proprio programma di governo.