Latina compie oggi ottant’anni di Liberazione: un fatto che in vista del centenario non si può ignorare

di Graziano Lanzidei
Undici mesi prima del 25 aprile 1945, c’era stato il 25 maggio 1944: la Liberazione di Littoria, che poi sarebbe diventata Latina. La città costruita dal fascismo – fondata il 30 giugno 1932 e inaugurata il 18 dicembre dello stesso anno alla presenza di Mussolini – fu liberata dai nazifascisti pochi giorni prima di Roma, dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Oggi Latina cerca di prepararsi a compiere cent’anni, grazie ad una importante iniziativa del governo Meloni. Una città che porta ancora nelle sue geometrie, nei nomi dei borghi e nello stile architettonico l’eco di un’origine ingombrante, ma che ha attraversato guerra, occupazione e ricostruzione fino a diventare repubblicana, cambiando anche nome.
È riduttivo pensare a Latina unicamente come a un progetto urbanistico. È un esperimento sociale e civile, dove l’impronta autoritaria del regime si è dovuta poi misurare con la libertà conquistata. Il 2032 sarà l’anno del Centenario. Per celebrarlo nascerà la Fondazione Latina 2032, promossa dal Ministero della Cultura, Regione Lazio, Provincia e Comune di Latina – che ha approvato da poco statuto e atto costitutivo – e Camera di Commercio. Dovrà coordinare mostre, restauri, eventi culturali. Ma nei documenti ufficiali c’è molta attenzione fino al 1945, poi solo passaggi distratti su ciò che è venuto dopo (il Campo Profughi e la retorica dell’accoglienza). Non si nomina mai la Liberazione della città. Il turning point verso la democrazia. Latina, liberata prima del Paese intero, non riconosce ufficialmente quel momento. Si parla, genericamente, di fine della guerra. Il secondo importante momento fondativo della città rimane fuori dal racconto istituzionale.
Il 25 maggio 1944, le truppe alleate entrarono dopo mesi di combattimenti tra la linea Gustav e il fronte sul Canale Mussolini. Littoria era stata anche bombardata a lungo: i nazisti vi avevano stabilito una base operativa dopo lo sfollamento del marzo ’44. La torre di Palazzo M, usata come punto di osservazione, era un obiettivo militare. La popolazione che era rimasta viveva nella fame e nella paura. Proprio quella giornata, secondo CLN, Prefetto, il Sindaco Bassoli e l’Allied Military Government, segna la fine dell’occupazione nazifascista e l’inizio dell’amministrazione alleata. Poco più di un anno dopo, nel 1945, la città cambierà nome. Littoria scomparirà dai documenti e nascerà Latina. Non una rimozione, ma una trasformazione: da simbolo del regime a comunità democratica.
Ecco perché il centenario non può ignorare la Liberazione. Latina è anche rottura, scelta, reinvenzione. Una città che ha vissuto ideologia, guerra, ricostruzione e possibilità. Celebrarne solo la fondazione significa raccontare la storia a metà. Il 25 maggio 1944 è la data in cui Latina viene restituita a se stessa: smette di essere una vetrina di propaganda, inizia a cercare la propria/le proprie identità.
Non è una questione ideologica, ma civile. Riconoscere che Littoria fu liberata undici mesi prima del 25 aprile nazionale vuol dire affrontare una storia complessa, ma vera. Perché la memoria non si difende solo con le targhe, ma anche con le parole giuste e la cura dei luoghi. Latina è stata liberata. Ricordarlo è un gesto di verità. Non per dividere, ma per capire.
Un precedente esiste: nel 1951 l’amministrazione DC guidata da Vittorio Cervone istituì il 18 dicembre come ‘Natale di Latina’, con una messa in memoria dei caduti della bonifica. Lo fece in un clima politico ancora teso, ma con spirito di conciliazione. Il Consiglio comunale approvò con un solo voto contrario. Era il tentativo di costruire una cittadinanza nuova a partire da una memoria condivisa.
È da lì che possiamo ripartire oggi. Se allora si diede un senso alla fondazione, oggi si può – e si deve – dare un senso alla liberazione. Il Comune di Latina riconosca ufficialmente la Giornata della Liberazione di Latina. Non per sostituire una festa con un’altra, ma per affiancare i due momenti fondativi. Per dire che questa città è nata due volte. La prima nel fango delle paludi, con le mani nude di operai e contadini. La seconda sotto i bombardamenti, quando le truppe alleate liberarono la città e i cittadini rientrarono nelle case.
Accettare questa complessità è l’unico modo per raccontarsi per intero. Non per esaltare o cancellare, ma per guardare il passato e farne memoria.