“Siamo il secondo Paese più anziano al mondo. Se non si cambia strada sulla prevenzione, il sistema è destinato al tracollo” – L’intervista

Coperture vaccinali insufficienti, screening oncologici sotto la soglia raccomandata dall’Unione Europea e grandi disparità territoriale. I dati sulla prevenzione in Italia sono lo specchio fedele dello stato di crisi diffuso in tutto il Servizio sanitario nazionale. Il definanziamento cronico inquina tutte le attività della sanità pubblica, comportando l’acuirsi di quello che resta il problema più grave: la carenza di personale. Lo ribadisce più volte a ilfattoquotidiano.it Francesco Cognetti, presidente della Foce (Federazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi): senza un cambio di rotta deciso, non solo la prevenzione resterà al margine. Senza soldi e riforme nazionali, tutto l’impianto universalistico è destinato a saltare. Dove ti volti, vedi una criticità. Dalle liste d’attesa alla sanità territoriale, passando per le bocciature di emendamenti destinati all’estensione di esami salvavita, e dai ritardi nell’approvazione dei Dpcm che aggiornano i Lea. “Se non si cambia strada, il sistema è destinato al tracollo”, commenta Cognetti. “Soprattutto se pensiamo che siamo il secondo paese più anziano del mondo, con tassi di cronicità molto alti”.
Eppure non investiamo adeguatamente in prevenzione. Come mai?
Dobbiamo ricordare che siamo il secondo paese europeo per vita media. È un fatto estremamente positivo. Significa che fino a qualche anno fa il sistema sanitario ha funzionato molto bene. Ma negli ultimi 10-15 anni è iniziato un programma scellerato di definanziamento della sanità pubblica. Un piano portato avanti da tanti governi, di diverso colore politico. In questo senso, è inutile guardare all’ammontare assoluto dei finanziamenti e dire che è cresciuto negli ultimi anni. Le risorse stanziate vanno sempre rapportate al Pil e alla spesa sanitaria pro capite, per ogni singolo cittadino. Se guardiamo a questi indici, ci rendiamo conto che siamo messi veramente molto male. E uno dei risultati di questo progressivo definanziamento è la cifra inconsistente che l’Italia dedica alla prevenzione. Bisogna invertire la tendenza per ridurre il volume delle patologie, soprattutto quelle croniche che incidono molto sui costi della sanità. Senza l’aiuto di adeguate politiche di prevenzione, il trattamento e l’assistenza dei pazienti anziani, fragili e cronici diventa assolutamente impossibile.
Forse la sanità non è una priorità, perché i fondi per altre cose ci sono.
È chiaro che il governo attuale non è responsabile di quello che è successo negli ultimi 10-15 anni. Però è altrettanto vero che negli ultimi due anni e mezzo, nonostante ci si trovi di fronte a una situazione molto seria e molto grave, non abbiamo visto dei provvedimenti adeguati. Soprattutto rispetto alla carenza del personale sanitario che è il problema più importante. I professionisti, medici e soprattutto infermieri, continuano a lasciare il Ssn o il Paese, per effetto di stipendi non competitivi con il resto d’Europa. E anche a causa di ritmi di lavoro assolutamente insopportabili. Calano le iscrizioni alle università, aumentano le borse di specializzazione lasciate vacanti, e proliferano i gettonisti. Siamo di fronte al tracollo del Ssn. Senza provvedimenti decisivi, che non abbiamo visto in questi primi due anni di governo, dove andremo a finire?
In un quadro come questo, con il sistema pubblico così affaticato, è difficile pensare a un miglioramento delle performance di prevenzione?
Pensiamo agli screening oncologici. Sono a un livello troppo basso nel nostro Paese. E parliamo di attività essenziali. Ma senza personale queste attività non possono essere svolte. Consideriamo anche i progetti del Pnrr sulla sanità territoriale. Le strutture possono anche essere costruite o ammodernate, ma senza qualcuno che ci lavori non potranno mai partire. Ed è quello che sta succedendo. È impossibile continuare a ignorare questo problema. Se poi ci mettiamo anche che recentemente è stato addirittura bocciato un emendamento per l’estensione dello screening mammografico, la situazione si complica.
Parla dell’emendamento Ddl per le liste di attesa?
Sì, prima approvato in Commissione Sanità e poi bocciato dal Ministero dell’Economia e Finanze. Prevedeva l’estensione della gratuità degli screening mammografici alle donne tra i 45 e i 49 anni e tra i 70 e i 74, che attualmente sono ingiustamente escluse dal programma nazionale di prevenzione. Era stata stanziata una cifra anche insufficiente, di appena 6 milioni in tre anni, ma nonostante questo è stato bocciato. Non è un bel segnale. Come anche quello sui Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr).
A cosa si riferisce?
Al fatto che è necessario approvare subito i due Dpcm che aggiornano i Lea e che sono in attesa di promulgazione. I due provvedimenti introdurrebbero numerose modifiche ai nuovi Lea, che però per il momento restano bloccate, nonostante siano predisposte già da due anni: l’ampliamento di screening preventivi, nuove prestazioni sanitarie, aggiornamenti in tema di esenzioni e introduzione di nuove tecnologie ed ausili terapeutici. Si tratta di provvedimenti fondamentali per garantire l’accesso, rimborsato dal Ssn, ai test molecolari per circa 87mila pazienti oncologici all’anno. Sono passati otto anni dall’ultimo Dpcm che aggiornava i Lea, nel 2017. In questo tempo c’è stato un avanzamento notevole nell’innovazione e nella ricerca. Ma queste conquiste al momento non possono essere portate al letto dei pazienti. O meglio, nelle Regioni più ricche sì, perché vengono utilizzati altri fondi. Nelle altre, sottoposte a piano di rientro, no. Il paradosso è che al momento è rimborsato il farmaco, che costa molto di più, ma non è rimborsato il test che consente poi l’utilizzo del farmaco.
Perché?
Nel nostro Paese l’approvazione di farmaci innovativi e dei relativi test molecolari non è contestuale. E questo comporta un ritardo nell’accesso effettivo alle cure. I nuovi Lea permetterebbero finalmente il pieno utilizzo di ben 62 terapie mirate, già approvate dall’Aifa, ma distribuite finora in modo disomogeneo sul territorio nazionale.
L’ennesimo caso di disuguaglianze territoriali in sanità. Anche nella prevenzione si registrano differenze territoriali tra Nord e Sud?
Una regione che si trova in una situazione di difficoltà economica pensa prima a organizzare al meglio le attività di tipo terapeutico, per far fronte alle malattie in atto, piuttosto che pensare a evitare quelle che ancora devono realizzarsi. Sono alle prese con problemi acuti che necessitano di essere affrontati con immediatezza, seppur anche questi non vengano poi trattati adeguatamente. E infatti la gente migra al Nord per curarsi. C’è bisogno di una politica nazionale, anche eventuali fughe in avanti sulle autonomie non sono affatto augurabili. Sarebbero veramente decisive per favorire il tracollo definitivo e totale dell’attività sanitaria.
Ci sono altri piani su cui si potrebbe intervenire per migliorare le politiche di prevenzione?
Sicuramente si potrebbe correggere l’approccio culturale sbagliato che la circonda. Bisogna incidere su questo aspetto con campagne di informazione, di educazione. Non mi risulta che il sistema pubblico stia brillando da questo punto di vista in questo momento. Manca soprattutto una comunicazione efficace nei confronti dei giovani. Ma anche per fare questo servono fondi.
Con un Ssn così affaticato nel rispondere ai bisogni della popolazione, basti guardare le liste d’attesa, il privato si inserisce e può proliferare?
Questo avviene già. Soprattutto in determinate regioni, sono state messe in atto iniziative che trasferiscono parte delle attività, e dei fondi, dal pubblico al privato. E in questo modo diminuiscono gli standard di cura. Nel pubblico ci sono determinate garanzie sulla competenza degli specialisti, come sulla disponibilità di apparecchiature di qualità. Nel privato queste garanzie non ci sono sempre. Ci sono strutture private accreditate di grandissima qualità, ma altre meno adeguate. Anche su questo bisognerebbe vigilare e in molte regioni questo non viene fatto. Per cui il cittadino è esposto a procedure assistenziali e diagnostico-terapeutiche di livello non sufficiente. Di fronte a una situazione di questo genere, la politica dovrebbe pensare di rafforzare il Ssn immediatamente. Se ben gestita una struttura pubblica costa anche meno, perché non prevede la necessità di realizzare profitto a tutti i costi, al contrario di una privata. Eppure, una parte dei finanziamenti che potrebbero essere erogati al pubblico viene dirottata verso le strutture private.
L’approccio economicistico però è molto diffuso anche nel pubblico. Forse anche per questo la prevenzione fa da Cenerentola, perché non è remunerativa nel breve periodo?
Sono tanti anni che chi gestisce la sanità pensa come un ragioniere. La priorità è stata non fare debiti e questi sono i risultati. C’è bisogno di una iniezione di risorse e poi di gestirle in modo efficace. Si deve instaurare una forte collaborazione tra la componente politica e quella tecnica, che spesso in molte realtà manca completamente.