Giulia Cecchettin, impugnata la sentenza su Turetta: “Riconoscere aggravanti di stalking e crudeltà”

Riconoscere le aggrevanti di stalking e crudeltà. È quanto chiede la Procura di Venezia, che ha deciso di impugnare la sentenza di primo grado con cui Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa con 75 coltellate l’11 novembre del 2023.
Lo scorso 3 dicembre, la Corte d’Assise di Venezia aveva emesso il verdetto di condanna riconoscendo al reo confesso la premeditazione, lasciando cadere le altre due aggravanti contestate dal pm Andrea Petrone. Un atto fortemente atteso dalla famiglia Cecchettin, il cui consiglio difensivo chiese espressamente l’impugnazione della sentenza da parte della Procura di Venezia. “Non sappiamo se abbiano deciso in questo senso sulla base della nostra richiesta, ma la decisione della Procura ci rincuora e mostra che noi non eravamo dei visionari – dice a LaPresse l’avvocato Stefano Tigani, legale di Gino Cecchettin, il papà della vittima – Non è mai stata nostra intenzione entrare in polemica con la decisione della Corte, ma per noi, coerentemente con quanto sostenuto durante il processo, quelle aggravanti c’erano“.
LA CRUDELTÀ – Nelle 145 pagine di motivazioni della sentenza, depositate lo scorso 8 aprile, era stato messo nero su bianco che quelle 75 coltellate inferte alla vittima non furono ‘crudeltà’, ma “inesperienza”. Un atto, colpire la 22enne in due diverse aggressioni, che ha avuto una dinamica “certamente efferata”, ma che è stato una “conseguenza della inesperienza e della inabilità” del 23enne.
Per i magistrati (presidente Stefano Manduzio, estensore Francesca Zancan), le coltellate non furono quindi “un modo per infierire crudelmente o per fare scempio della vittima”, considerando che Turetta “non aveva la competenza e l’esperienza – si legge nelle motivazioni della sentenza – per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito, così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia ‘non c’era più”. Un’ interpretazione in linea con la sentenza della Cassazione del 2015, laddove si affermava che nell’azione omicidiaria “la mera reiterazione dei colpi inferti non può determinare la sussistenza dell’aggravante, se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa”.
LO STALKING – Allo stesso modo, i giudici non avevano riconosciuto lo stalking, spiegando che “l’aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta”. Il 23enne metteva in atto nei confronti di Cecchettin una “esasperante forma di controllo” e la relazione tra i due ragazzi è “sempre stata connotata dall’atteggiamento possessivo e controllante del ragazzo, le cui pretese erano tali da dar luogo più volte a discussioni”, come emerge con chiarezza anche dal tenore delle chat tra i due. “Non solo egli pretendeva di controllare e selezionare le frequentazioni di Giulia, ma si aspettava che lei gli rendesse conto di ogni momento non trascorso assieme a lui, arrivando addirittura a tentare di imporle di rallentare gli esami e abbassare il proprio rendimento accademico per aspettarlo, così da arrivare a laurearsi insieme”. Turetta ha ucciso l’ex fidanzata perché “non ha accettato che Giulia Cecchettin fosse libera di decidere come vivere la propria vita e di non voler più stare con lui”.
Intanto, la difesa di Filippo Turetta ha depositato la richiesta di appello contro la sentenza di condanna della Corte d’assise di Venezia. Nell’istanza il difensore Giovanni Caruso ha chiesto l’esclusione dell’aggravante della premeditazione e la concessione delle attenuanti generiche per la collaborazione prestata agli inquirenti e per il comportamento processuale tenuto dall’imputato.