Strage di Monreale, minacce su TikTok al cognato di una delle vittime: “Lui è morto, il prossimo sei tu”

Basta silenzio. A tre settimane dalla strage di Monreale, in cui sono rimasti uccisi di Salvo Turdo, Massimo Pirozzo e Andrea Miceli, la famiglia del 23enne ha deciso di parlare, denunciando le gravi minacce ricevute dal cognato della vittima. È proprio lui che si rivolge ai carabinieri per raccontare di aver ricevuto un messaggio privato dal contenuto intimidatorio sul proprio profilo TikTok da parte di un account anonimo chiamato “mafiacosanostra”. Un profilo dal nome evocativo, già visto sulla pagina social del ragazzo. Lo stesso account, infatti, tra il 30 aprile e il 3 maggio aveva lasciato, sotto su alcuni video commemorativi dedicati a Turdo, due commenti pubblici dove si inneggiava in modo provocatorio agli autori del triplice omicidio, con scritte come “Se l’è meritato” e “Chi sbaglia deve morire“.
LA FAMIGLIA – Di fronte al susseguirsi delle minacce, la famiglia Turdo ha deciso di rompere il silenzio. “Lo facciamo – dice il cognato a PalermoToday – perché vogliamo restituire umanità a una vicenda che rischia di finire schiacciata da narrazioni distorte, voci social e strumentalizzazioni”. Di qui la volontà di raccontare chi era Salvo Turdo, descritto come “un ragazzo raro, molto legato alla sua famiglia e senza grilli per la testa, con una vita normale, fatta di lavoro, casa, amici, calcio e motori”. Quella di Turdo è infatti una famiglia semplice: il padre vende pane e cibi tipici monrealesi dietro alla stazione, a Palermo, la madre è casalinga. Salvo, invece, lavorava da un annetto in una ditta edile, così come il cugino Andrea. “Non si lamentava mai – continua a raccontare – era fiero del suo lavoro. Non è vero che ha frequentato la scuola professionale a Tommaso Natale, dove andavano anche alcuni dei ragazzi dello Zen fermati per la strage. Lui non li conosceva“.
LA SERA DELLA TRAGEDIA – Il dolore di quella sera non si spegne, così come la rabbia di sapere che Turdo “Non doveva essere lì“. “Era una serata come tante tra amici, scherzi e preparativi per la festa del Santissimo Crocifisso – dice – non avevamo nulla di organizzato, solamente il solito ritrovo al 365, locale che frequentavamo sempre. A Monreale non esiste una comitiva, ci conosciamo tutti, sappiamo dove beccarci. Salvo però era raro che frequentasse Monreale, lui frequentava più i locali a Palermo. Prendeva il suo scooter e, con i suoi amici, andava in discoteca o in qualche pub. Ragazzi come lui, con la testa sulle spalle. Ma quella sera non voleva perdersi i preparativi della festa“. Poi, però, la tragica chiamata. “Eravamo andati via da 10 minuti – racconta visibilmente commosso – quando abbiamo ricevuto la telefonata di un nostro amico: hanno sparato a Salvo e Andrea, tornate indietro, correte. Arrivato lì ho visto mio cognato a terra, gente che gridava e scappava. In preda al panico ho chiamato mio fratello per sapere se lui stava bene. Una situazione apocalittica, poteva degenerare ancora, da un momento all’altro. Mi resta il rimpianto di non essere rimasto, avrei fatto di più. Se solo avessi saputo cosa stava per accadere, quello che sarebbe successo, sarei stato più attento. Quella serata non doveva finire così: poteva capitare anche a me, a chiunque, ma non doveva capitare a nessuno. Neppure a Salvo, Andrea e Massimo”.
IL CLAMORE MEDIATICO – “Non vogliamo essere parte di un racconto distorto“, dice il cognato nell’intervista a Palermotoday, dove spiega la decisione della famiglia di tenersi lontana da Fabrizio Corona. Il personaggio televisivo ha infatti cercato di occuparsi della strage. “È andato allo Zen – spiega il cognato della vittima – ma a non ci ha mai contattati. Quando però è salito a Monreale, io ero nei paraggi. L’ho riconosciuto da lontano, ma sono andato via. Non volevo farmi vedere”. E ribadisce: “I fatti sono semplici e atroci, sono sempre gli stessi e li abbiamo già spiegati alle forze dell’ordine. Chi ha sparato era più piccolo di noi, eppure nel nostro gruppo non si è mai parlato di certe cose: non giriamo con le pistole, non è nella nostra mentalità. Noi pensiamo a lavorare, ad andare in palestra, a guardare la tv. Sì, anche noi guardiamo certe serie: Gomorra, Il Capo dei Capi, Mare Fuori. Ma nessuno di noi ha mai pensato di vivere quelle storie. Sono solo film. La nostra vita è un’altra cosa“.
IL DESIDERIO DI GIUSTIZIA – Le scuse, però, non sono mai arrivate. “Nessuno ha detto una parola, nemmeno chi forse avrebbe dovuto. Ma non ci aspettavamo nulla”, ha sottolineato il familiare. Ora il desiderio è solo quello di avere giustizia, di vedere “Per loro la pena giusta che si meritano”. Nonostante le dure minacce ricevute nell’ultimo periodo, il cognato di Turdo ricorda come “in queste settimane siamo stati travolti da un’ondata d’amore. Chi mi ha scritto quelle cose non mi fa paura. Chi scrive questo è solo una persona senza cuore. Adesso a noi resta solo il vuoto enorme che Salvo, Andrea e Massimo ci hanno lasciato. Non c’è più voglia di far nulla. Ogni sera, finito il lavoro, prima di andare a casa passo da lì, in via D’Acquisto. Saluto i ragazzi, mando un bacio al cielo e spero che gli arrivi“.