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Chi c’era in Vaticano per Leone XIV: il presidente di Israele (ma non Netanyahu), Vance e Zelensky. La ministra di Putin? Problemi con l’aereo

Guardando alle presenze per la messa di inizio pontificato e i funerali di Francesco emergono differenze che hanno rilievo politico, gesti che indicano segnali di distensione, e assenze fumose
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Oltre 150 delegazioni presenti alla messa di inizio pontificato di Papa Leone XIV, che avviene a 23 giorni dai funerali di Bergoglio. Capi di stato e leader da tutto il mondo tornano così in piazza San Pietro per la cerimonia di intronizzazione di Rober Prevost. Ma il parterre dei potenti non è lo stesso. Ci sono differenze che hanno rilievo politico, presenze che indicano segnali di distensione, e assenze fumose. Non c’è Donald Trump: il presidente degli Stati Uniti, immortalato in un colloquio improvvisato nella Basilica con Zelensky lo scorso 25 aprile, è rappresentato alla Santa Sede dal suo vice, Jd Vance. Tanto come alle esequie di Francesco come alla messa di oggi a Roma c’è Zelensky. Prima dell’inizio della cerimonia viene immortalata dalle telecamere di tutto il mondo la stretta di mano tra i due, un segnale di riconciliazione dopo l’umiliazione subita dal presidente ucraino nello Studio Ovale a fine febbraio. Ad accomunarli, oltre alla presenza in San Pietro, anche un appuntamento in agenda: entrambi vedranno il Papa. Oggi è il turno di Zelensky, domani mattina alle 8 sarà invece ricevuto Vance.

Incontri che avvengono a poche ore dal colloquio tra il segretario di Stato Usa Marco Rubio e il cardinale Matteo Zuppi, inviato per l’Ucraina del Vaticano, al termine del quale il funzionario della Casa Bianca ha dichiarato possibile considerare la Santa Sede luogo per i colloqui di pace, perché “entrambe le parti si sentirebbero a proprio agio”. Il tema è quello, ovviamente, della guerra in Ucraina, dove i progressi restano ancora da registrare. Risale infatti solo qualche giorno fa il plateale fallimento del vertice in Turchia, anche se già nelle ore precedenti le due delegazioni ucraina e russa si erano scambiate insulti pesantissimi. E mentre Zelensky era volato da Erdogan, solo poche ore prima il Cremlino aveva dichiarato che Putin non sarebbe andato.

Da Mosca avevano invece annunciato che alla messa di Leone sarebbe volata la ministra della Cultura Olga Lyubimova, incaricata dallo zar di prendere parte alla cerimonia, come aveva fatto per i funerali di Francesco. Ma le cose sono andate diversamente: la delegazione russa per Prevost era guidata dall’ambasciatore russo in Vaticano Ivan Soltanovsky. Perché? Lyubimova, ha riferito l’ufficio stampa del ministero della Cultura russo, non ha potuto partecipare “per problemi di rotta dell’aereo”. Quanto e se abbiano pesato gli ultimi nulla di fatto diplomatici su questo cambio dell’ultim’ora non è dato saperlo, ma quel che è certo è che, dopo i riferimenti alla pace “disarmata e disarmante”, Papa Leone prima della recita del Regina Coeli ha detto chiaramente che “la martoriata Ucraina attende finalmente negoziati per una pace giusta e duratura”. E questo sarà l’oggetto anche dei suoi incontri con Zelensky, prima, e poi Vance.

Ma non c’è solo Kiev: l’altro fronte di guerra citato dal Papa è Gaza, dove “bambini famiglie e anziani sono ridotti alla fame”. Un ammonimento accorato applaudito dalla folla a San Pietro e scandito di fronte al presidente israeliano Isaac Herzog, arrivato a Roma. Una differenza importante rispetto alla delegazione per i funerali di Francesco, inviso a Netanyahu dopo avere ipotizzato fosse in corso un genocidio nella Striscia. Una considerazione talmente indigesta, che il premier è rimasto in silenzio per la morte di Bergoglio e che alle esequie il 25 aprile aveva deciso soltanto di inviare l’ambasciatore in Vaticano, Yaron Zeidman. “Oggi ho il privilegio di rappresentare Israele allo storico insediamento di Papa Leone XIV – ha scritto Herzog su X – Sono grato che uno dei primi atti del Papa sia stato quello di chiedere l’immediato ritorno di tutti” gli ostaggi da Gaza, ha continuato. “Spero che il suo papato inauguri una nuova era di cooperazione tra le fedi e rafforzi ulteriormente l’amicizia tra ebrei, cristiani e musulmani in Terra Santa”, precisando di essere “ansioso di lavorare insieme per approfondire gli storici legami tra Israele e la Santa Sede e spero di poter presto accogliere Sua Santità in Terra Santa come potente simbolo di questo importante legame”. Al centro sempre gli israeliani ancora nelle mani di Hamas dopo il 7 ottobre: “Sono grato per l’opportunità di partecipare a questa importante occasione e in tutti i miei incontri con i leader mondiali porterò con me l’urgente richiesta di riportare a casa tutti i nostri ostaggi, immediatamente”. Un obiettivo che per i famigliari resta in contrasto con la ripresa dei raid nella Striscia voluti da Netanyahu. Tra Leone e Herzog un saluto alla fine della cerimonia: sulla giacca del presidente israeliano un’etichetta con il numero “590”. Sono i giorni trascorsi dall’inizio del conflitto con Hamas.

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