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Giusto che le Regioni non decidano da sole su un tema cruciale come le rinnovabili. Torneremmo al Medioevo!

Tutte le associazioni che fortemente credono nelle rinnovabili hanno esultato per questa decisione del Tar. Qui la posta in gioco era molto più alta
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Ha smontato, in pratica, il Decreto nazionale Aree idonee voluto dal governo, che lasciava discrezionalità alle Regioni sull’individuazione dei siti per impianti fotovoltaici e solari. La sentenza del Tar del Lazio accoglie in altri termini il ricorso dell’Associazione nazionale energia del vento (ANEV) per cui il decreto ledeva la libera attività imprenditoriale. E chiede al governo di riscriverla. Tutte le associazioni che fortemente credono nelle rinnovabili hanno giustamente esultato per questa decisione, che sebbene riporti tutto a capo – il che ci fa capire quanto tempo è stato perduto intanto – almeno afferma che non si può demandare alle Regioni la scelta di dove mettere o non mettere impianti rinnovabili.

Qui la posta in gioco, per la verità, era molto più alta, perché tra questo decreto e quello del ministro Lollobrigida che vieta il fotovoltaico non agrivoltaico nei campi la burocrazia delle rinnovabili stava diventando assurda e andare avanti nel processo di decarbonizzazione arduo e complesso, nonostante il processo ormai avviato.

Ma la sentenza è importante anche e soprattutto dal punto di vista costituzionale e democratico: perché stabilisce che non è possibile un’autonomia radicale delle Regioni su un tema fondamentale come quello dell’energia e della transizione ecologica. Perché chiede regole chiare, uniformi per tutto il territorio, come è giusto che sia visto l’obiettivo di neutralità che il nostro paese (in teoria) si pone.

Demandare tutto alle Regioni significa affidare un elemento chiave della nostra sopravvivenza alle idiosincrasie dei singoli governatori, con il risultato di una totale e forte disomogeneità sul territorio e quindi conseguenze diseguaglianze sui cittadini. Lo si vede d’altronde anche sulla sanità. La decisione sbagliata di affidare una cosa così cruciale per la vita alle Regioni ha prodotto veri e propri mostri: stabilire i Lea (livelli di assistenza minimi) non è bastato a creare Regioni dove ci si cura e ci si salva e Regioni dove puoi aspettare un anno per una visita che può curarti e salvarti. Con il conseguente viaggio delle persone in tutta Italia per curarsi, persone che si indebitano per poter pagarsi i viaggi e anche gli alloggi.

L’energia è un tema differente ma il principio è lo stesso: andare verso l’universalità in campo energetico-climatico è fondamentale, il che non significa ovviamente non tenere conto delle peculiarità dei singoli territori o devastarne il paesaggio. Ma sempre più è evidente che abbiamo bisogno di più stato nazionale e meno frammentazione locale, laddove questa si traduce in diseguaglianze assurde e ingiustificabili, appunto anche rispetto alla Costituzione.

Il governo Meloni, con il suo progetto di autonomia differenziata, vuole invece accentuare i poteri delle Regioni, facendo sprofondare l’Italia nel Medioevo, dove i vari signori locali decidevano in base al loro arbitrio, spartendosi poltrone e poteri. Perché purtroppo questo accade, non abbiamo certo super esperti o scienziati alla guida delle Regioni, Regioni che legiferano su temi importantissimi spesso malamente e senza cognizione di causa.

Ben venga dunque una riflessione che riporti il tema energetico a livello nazionale. E che spinga l’Italia a prendere una posizione chiara su quale politica vuole intraprendere, senza ambiguità e senza ammiccamenti a tecnologie di cui poco o nulla si sa e che richiedono tempi biblici, come il nucleare.

In questo modo, anche il governo e il ministro dell’Ambiente saranno – speriamo – costretti a uscire da posizioni poco chiare e ambivalenti, comode per continuare con il “business as usual”: che vuol dire dipendenza da gas, bollette alle stelle, emissioni che non scendono. Nessuno si illude che una sentenza possa cambiare drasticamente le cose, però almeno oggi possiamo guardare al futuro della transizione ecologica in Italia con un filo di pessimismo in meno.

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