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Il Nobel Giorgio Parisi: “Per attirare i ricercatori americani serve un piano di scala europea”

Per il fisico "il piano presentato dal ministro Bernini è un segnale importante ma le dimensioni non sono sufficienti"
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“Il piano del governo italiano per attirare i ricercatori americani che vogliono lasciare l’America di Trump è una cosa giusta, come Europa abbiamo il dovere di accoglierli ma anche l’opportunità di far crescere il nostro capitale umano esattamente come accadde negli anni Trenta quando tanti scienziati dovettero lasciare l’Europa a causa delle leggi razziali e andarono in America dove contribuirono alla crescita scientifica e tecnologica che ebbero gli Stati Uniti. Ovviamente la situazione è diversa da allora, ma le minacce del governo Usa all’indipendenza degli atenei sono reali e stanno spingendo molti ricercatori a porsi il problema di dove continuare il proprio lavoro”. È la riflessione del premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi che in una intervista al Corriere della Sera, in cui parla perlopiù del futuro dell’Intelligenza artificiale che da “pappagallo stocastico” sta diventando un “pappagallo che capisce”, sulla questione dei tagli alla ricerca e alla sanità che hanno messo in subbuglio la comunità scientifica e che potrebbero portare a una migrazione di ricercatori e scienziati verso l’Europa. Per ora la presidente Ursula von der Leyen ha promesso 500 milioni di euro e “prospettive per i migliori”.

Per Parisi “il piano presentato dal ministro Bernini è un segnale importante ma le dimensioni non sono sufficienti. Serve un piano di scala europea. Abbiamo una grande opportunità per recuperare il ritardo in tanti settori, in particolare sull’intelligenza artificiale”. Per riportare gli attori pubblici in partita sull’intelligenza artificiale, afferma lo scienziato, “c’è bisogno di un’iniziativa transnazionale come per esempio il Cern, ovvero di un grosso laboratorio nel quale ci siano un migliaio di scienziati che lavorino assieme. Al punto in cui siamo la cosa fondamentale non è tanto l’hardware, cioè gli investimenti nei supercomputer, perché quelli ci sono”.
Su questo “abbiamo perso una quantità di tempo enorme e nel frattempo l’intelligenza artificiale si è molto evoluta. Ora dobbiamo evitare la rassegnazione, pensare che ormai siamo indietro e non c’è nulla da fare. La partita è ancora aperta e l’Europa può giocare un ruolo”. Per quanto riguarda l’Italia i problema è che l’Italia non investe nella ricerca. Rimanere in Italia può essere conveniente in alcune nicchie ma per il resto la mancanza di programmazione e di fondi fa danni terribili”.

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