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Ilva, Urso in pressione dopo il sequestro di Afo1: “La procura non fermi tutto o finirà come a Bagnoli”

Il ministro interviene dopo i sigilli senza facoltà d'uso a causa dell'incendio: "Se non permette la messa in sicurezza, sarà impossibile riattivarlo e l'investitore scapperà"
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Il sequestro dell’altoforno 1 dell’Ilva di Taranto dopo l’incendio preoccupa il governo. L’incidente dentro l’acciaieria pugliese arriva nel corso del negoziato con Baku Steel, vincitrice della gara per l’assegnazione dello stabilimento, e il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso adombra l’ipotesi – già avanzata da Ilfattoquotidiano.it – che ci sarà una ricaduta occupazionale nel breve periodo e, soprattutto, arriva a ipotizzare uno stallo nella cessione a causa dell’intervento della magistratura, se non verrà concessa la possibilità di intervenire rapidamente con la manutenzione.

La procura di Taranto è infatti dovuta intervenire dopo il grave episodio provvedendo al sequestro probatorio dell’impianto e ne ha disposto lo stop, impedendone l’uso. Il pubblico ministero Francesco Ciardo ipotizza i reati di omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. Al momento sono tre i manager iscritti nel registro degli indagati: il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento Benedetto Valli e il direttore dell’area altoforni Arcangelo De Biasi. La situazione, secondo il ministro Urso innescherà “necessariamente” un “forte numero di lavoratori in cassa integrazione e una riduzione significativa della produzione”.

L’Afo 1 – riattivato a ottobre, alla presenza proprio di Urso, dopo un parziale rifacimento – produce circa la metà dell’acciaio sfornato da Ilva in questo momento e in marcia resta solo l’altoforno 4. Ma secondo il ministro ci sarebbero rischi ben più gravi che un largo uso dell’ammortizzatore sociale, con il quale i dipendenti tarantini convivono da oltre un decennio: “Se il provvedimento inibirà anche la manutenzione degli impianti che deve essere effettuata nelle prossime ore, compromettendo per sempre il ripristino dell’altoforno, potete immaginare quali possono essere le conseguenze”. Il ministro è categorico e pressante: “È chiaro che se qui si crea un’altra Bagnoli finirà come a Bagnoli”, ha detto paventato l’ipotesi di una chiusura con strascichi catastrofici sotto il profilo occupazionale e ambientale per il territorio.

“Aspettiamo ovviamente, nel rispetto – ha aggiunto – dell’equilibrio dei poteri le decisioni dei magistrati. C’è l’auspicio che la procura non inibisca la manutenzione dell’altoforno perché altrimenti tra poche ore, se non fosse possibile intervenire per mettere in sicurezza l’impianto, non sarebbe comunque più possibile riattivarlo. Il che, come detto, significa da subito essere costretti a mandare in cassa integrazione un numero consistente di lavoratori con, probabilmente, la fine del sogno della siderurgia green a Taranto”. Uno scenario in cui, ad avviso di Urso, “nessun investitore” si caricherebbe “una industria che ha già chiuso la sua attività produttiva”. Baku Steel – ha detto ancora il ministro – “investe nella riconversione ambientale e tecnologica dello stabilimento se c’è uno stabilimento in attività”.

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